Roma, le mense scolastiche non devono servire al profitto dei privati.

ROMA, LE MENSE SCOLASTICHE NON DEVONO SERVIRE AL PROFITTO DEI PRIVATI.

A Roma le mense scolastiche sono un servizio che coinvolge migliaia di bambini e da sempre sono gestite dall’amministrazione comunale. Una vecchia normativa che risale agli anni 80 relega questo servizio tra quelli a domanda individuale, cioè lo considera un servizio dovuto solo a richiesta dell’utente. Se ciò aveva un minimo di significato lavoro-roma-mensa-scolasticaquarant’anni fa, quando le classi che mangiavano a scuola erano un’estrema minoranza, oggi quella norma non tiene conto dell’evoluzione della società e della scuola, che, prevedendo nei suoi ordinamenti “normali” il tempo mensa, ha di fatto portato ad una diffusione molto elevata e predominante delle classi che mangiano a scuola. Questo stato di fatto ha consentito alle famiglie di predisporre una battaglia legale per il riconoscimento del “pasto autonomo,” cioè della possibilità di non usufruire del servizio a domanda individuale gestito dal comune, ma di portarsi il cibo da casa. In un primo momento i tribunali hanno dato ragione alle famiglie, ma quest’anno la Cassazione ha sancito che le famiglie devono accettare il servizio della mensa scolastica. Tuttavia la Cassazione riconosce alle famiglie il diritto di poter influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa.

Nel corso degli anni la refezione scolastica è passata dalla somministrazione diretta del servizio da parte dell’amministrazione comunale, alla pratica dell’assegnazione del servizio ad aziende esterne. L’ideologia che ha sostenuto la necessità di questo passaggio, affermava che le mense gestite direttamente dell’amministrazione pubblica erano troppo costose e di bassa qualità, mentre se si lasciavano gestire ai privati avrebbero funzionato meglio ed il servizio sarebbe stato più economico. La realtà di questi anni ha tuttavia totalmente falsificato queste asserzioni. I costi generali del servizio sono aumentati dovendo generare profitti per i padroni delle aziende e nello stesso tempo si è generato un peggioramento delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici; retribuzioni più basse, precarietà lavorativa quotidiana, ciò che resta gli addetti alle mense è la certezza che ad ogni appalto, l’azienda per cui lavorano, possa perdere la gara e quindi, automaticamente, non è certo che loro riescano a mantenere il proprio lavoro.

Perchè, dunque, di fronte ai negativi costi economici e sociali che vengono generati dalla privatizzazione del servizio delle mense scolastiche il Comune di Roma persevera nel riproporre un modello fallimentare nella selezione degli operatori economici e nella gestione del servizio?

Attualmente si trova in fase conclusiva un bando per un appalto di tre anni, di cui due sono già trascorsi, le aziende vincitrici di quella gara potranno operare per un anno, con tutte le conseguenze immaginabili sul mancato investimento di queste nel servizio. Inoltre per un errore di predisposizione del bando, gli addetti delle mense delle scuole autogestite sono stati esclusi e ancora non sanno come e se saranno reinseriti. A fronte di un bando di gara che somiglia sempre più ad un circo Barnum, una seria amministrazione, attenta alle esigenze dei lavoratori e dei cittadini, avrebbe in autotutela ritirato il bando, rivisto errori e mancanze e pubblicato un nuovo bando. Invece l’amministrazione romana affronta i problemi con il piglio del promoter. Parla di un superamento progressivo delle mense autogestite direttamente dalle scuole attraverso una misteriosa clausola sociale, senza spiegare come, dove e quando ciò potrà avvenire. Afferma con certezza che nessuno perderà il lavoro senza spiegare perché, delega all’ANAC il compito di impedire offerte al massimo ribasso che  avrebbero come esito l’abbassamento della qualità del servizio e della qualità del lavoro, racconta di aver emanato una delibera che assicura il miglioramento della qualità del servizio, senza però specificare quali siano gli strumenti messi in atto per controllare l’effettivo dispiegarsi degli indirizzi predisposti nella delibera.

Se questo è il modo di governare dell’amministrazione romana ben hanno fatto i sindacati a convocare, per il 16 e 17 settembre, uno sciopero dei lavoratori e lavoratrici delle mense scolastiche di Roma Capitale in difesa “del lavoro e del servizio offerto ai bambini e alle bambine che ogni giorno frequentano le scuole della città”. Ma non basta, è ora che i cittadini riprendano in mano il loro diritto, riconosciuto dalla Cassazione, di decidere sulle modalità di gestione del servizio mensa, rifiutando l’attuale modello dei bandi di gara, in cui è prevalente l’attenzione ad assicurare profitti ai padroni delle aziende e si trascurano i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e dell’utenza. E’ ora di chiedere che l’amministrazione capitolina faccia il proprio dovere nel rispetto delle esigenze dei cittadini gestendo in proprio i propri servizi, assicurando costanza e certezza del lavoro e dei diritti dei lavoratori e certezza della qualità del servizio in collaborazione con le famiglie e gli utenti.

LE FIABE DEI NEOLIBERISTI SONO NARRATE DA LINGUE BIFORCUTE.

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“C’era una volta…” così iniziavano le fiabe per bambini, divenute tali dopo aver esaurito la loro funzione di spiegazione delle credenze nelle società più antiche. Oggi, nell’era del totus oeconomicus, il prof. Giavazzi, sul Corriere della Sera1 riprende il genere, affrontando la ripercussione in termini di costi economici sulle generazioni future, nel caso si mantenga immutato l’attuale modello si sviluppo capitalista. Il professore entra nel vivo della sua fiaba economica con questa frase: «Professore, perché dovremmo farci noi carico dei debiti accumulati dalla vostra generazione? Quelle spese vi hanno consentito di vivere al di sopra dei vostri mezzi, mentre noi non ne abbiamo tratto alcun beneficio…». Da anni questo è l’incipit favorito dei chierici della religione neoliberista. Il professore, da credente e sacerdote dell’ideologia suddetta, non ha potuto far altro che ammettere che le facili risposte dell’economia borghese potevano dare altre interpretazioni ma che comunque esse sarebbero state false.

Per amplificare, poi, l’idea schiacciante del disinteresse della società sui giovani, il professore richiama un altro must del pensiero neoliberista quello dell’ingiustizia di una spesa sociale di cui beneficiano soprattutto gli anziani. Ed ecco così il professor Giavazzi ergersi a paladino dei giovani che non votano, messi sotto scacco da: un primo debito, quello di quando gli Italiani vivevano al di sopra delle loro possibilità con cene, feste, vacanze, divertimenti, un secondo debito quello degli Italiani che non muoiono e vanno in pensione, che annualmente occupa un quarto della spesa pubblica, ed infine l’ultimo debito, quello che stiamo contraendo attualmente contribuendo al cambiamento climatico.

Il Pontifex Maximus Giavazzi, dopo aver imposto i limiti della sua religione economica, chiede quindi di dare speranza ai giovani dando risposte alle loro domande, se compatibili con i dettami imposti dal neoliberismo. In sostanza chiede che il boia ascolti le richieste dei condannati su come tagliare la loro testa, chiede che il norcino ascolti le richieste dei suini su come fare le salsicce, chiede alla peste di verificare se qualche moribondo preferisca morire di colera.

Tornando seri non possiamo non urlare ai giovani che i professori come Giavazzi: “VI STANNO INGANNANDO”. La loro falsa scienza, diffusa a piene mani in tutte le istituzioni politiche e culturali non è altro che il frutto di un rapporto di potere che costruisce una falsa realtà, un’ideologia, resa realistica attraverso il dominio dei media; dei padroni e dei loro chierici. Sta a voi, giovani, accettare questa realtà o SOVVERTIRLA a partire dalla conoscenza di alcuni fatti: 1) il debito fatto dalle generazioni precedenti, dal 1960 al 1981 il debito pubblico arrivò al massimo al 60% del pil, dal 1982 iniziò a crescere arrivando nel 1990 al 95,22%. crescendo ulteriormente ed esplodendo nelle dimensioni attuali dal 2008, cioè negli anni in cui si utilizzarono le politiche di austerità e si introdusse il pareggio di bilancio in Costituzione2. 2) la spesa sociale a cui allude il prof Giavazzi riguarda in primo luogo le pensioni, l’INPS vede alcune casse pensionistiche in attivo, si autosostengono, ed altre in passivo necessitano di contributi dello Stato. La cassa con il passivo più alto è quella dei dipendenti pubblici, per ragioni legate alla sua gestione. Il buco economico di questa cassa è dovuto al “mancato versamento dei contributi (fino al 1995) da parte delle amministrazioni centrali dello Stato”3 e a causa delle politiche limitative della sostituzione dei lavoratori che vanno in pensione nel pubblico impiego che hanno generato meno persone in lavoro attivo (sebbene ve ne sia bisogno) rispetto a quelle in pensione. 3) Che cosa fa lo Stato con le tasse riscosse? Su questa punto il professore glissa. Quando si parla di vil moneta i chierici non desiderano sporcarsi le mani pubblicamente. Eppure è un tema che riguarda il debito statale che i giovani dovrebbero conoscere. Nel 2018 l’11% delle tasse sono state utilizzate per pagare gli interessi degli speculatori finanziari4. Fatto 100 dell’ammontare delle tasse nazionali incamerate dallo Stato 89 sono stati spesi per il funzionamento statale, mentre gli gli altri sono serviti per arricchire i ladri che speculano in finanza, gli stessi che stabiliscono se continuare ad abbattere le foreste, consumare suolo con speculazioni immobiliari, continuare nella crescita della civiltà dei rifiuti che sta portando alla devastazione ambientale. Sono i politici che aderiscono al mondo di valori di questi soggetti, che dovrebbero ascoltare i giovani e dare risposte alle loro domande Professor Giavazzi?

I giovani, come gli anziani e tutta la gradazione anagrafica dei lavoratori, sono ad un bivio: o accettano la falsa coscienza che viene proposta dal pensiero unico dei mass media, o iniziano ad INDIGNARSI E RIBELLARSI a chi li vorrebbe servi in lotta, l’un contro l’altro, per i residui di ricchezza che cadono dalle tavole dei padroni. Per far ciò non vi è che uno strumento, la POLITICA, il solo mezzo che consente di ottenere con la lotta comune risultati per tutti.

1Giavazzi Francesco, Le speranze (ignorate) dei ragazzi, Corriere della Sera, 15 agosto 2019